www.monicapezzoli.it

martedì 9 marzo 2010

ARTE CONSUMATA - Tesina del corso di Estetica del prof. Dario Evola









INTRODUZIONE
Parlare consapevolmente dell’oggi, inteso in tutte le sue sfaccettature (l’arte contemporanea, la nostra società, la nostra cultura ed economia, chi e cosa siamo), significa conoscere ed analizzare il nostro processo di trasformazione evolutiva avvenuta nei secoli passati.
Passato, presente e futuro sono, infatti, strettamente collegati; sono l’uno la conseguenza dell’altro, l’uno l’ispirazione e l’illuminazione dell’altro.
Per comprendere al meglio tale simbiosi tra passato presente e futuro, è importante prendere in considerazione il concetto di parallasse in base al quale gli schemi cognitivi e le categorie in cui inseriamo gli eventi del passato dipendono dalle nostre posizioni del presente; e proprio tali posizioni assunte nel presente sono viceversa definite da schemi e categorie assegnati al passato. La conoscenza consapevole del passato diviene, quindi, fondamentale ed indispensabile per analizzare il presente.
Per comprenderne il concetto fino in fondo è importante far riferimento anche all’ azione differita definita da Freud: “un evento è considerato traumatico solo alla luce di un evento successivo, che lo reinterpreta retroattivamente in azione postuma. /…/ (È così che possiamo pertanto comprendere nella sua totalità l’arte contemporanea e l’attualità) attraverso una complessa rete di anticipazioni e ricostruzioni. /…/ (ma allora,..) cosa produce il presente così diverso (dal passato), e in che modo il presente a sua volta rilegge il passato?”
È da considerare che l’attuale visione della complessa società moderna è andata via via formandosi dal XVIII secolo – l’epoca dell’Illuminismo europeo – attraverso una radicale e lenta trasformazione. È durante tale trasformazione che si consolida in modo definitivo anche il contemporaneo sistema dell’arte e di tutte le sue varie forme.
Il XVIII secolo è, quindi, un periodo di grande rivoluzione in tutta la cultura europea, nell’economia, nella società.
Si diffondono le scienze naturali. Nasce l’Estètica . È il momento del razionalismo, della sperimentazione. Si chiude l’epoca delle botteghe e si avanza nell’era dell’artista gentiluomo, intellettuale dell’Accademia. Quest’ultima assume un valore universale e diventa istituto d’eccellenza. Si modifica il significato della definizione opera d’arte caro alla tradizione classica e, come osserva José Jiménez, “/…/ L’arte cessa di possedere la priorità e l’esclusività della funzione di produttrice d’immagini in cui si era fatta carico dal XV al XVIII secolo.”
Ma è soprattutto con l’avvento della Rivoluzione Industriale, dello sviluppo della tecnologia, dell’impiego di macchinari nel processo produttivo, che avviene l’enorme cambiamento economico, socio-culturale ed artistico. È qui che compaiono per la prima volta le basi su cui si evolverà il concetto di arte fino ad arrivare all’attuale arte contemporanea; le basi di quella nostra società del presente che possiamo definire la società dello spettacolo o che il filosofo contemporaneo Zygmunt Bauman chiama Modernità liquida .
Il presente, la nostra Modernità liquida, quindi, sono il risultato di un lungo processo evolutivo iniziato nel passato e arrivato fino all’oggi.
A questo punto è da sottolineare che il presente, creatosi nel passato, è attualmente caratterizzato/influenzato soprattutto da una società che , appunto, ha emesso il suo primo gemito con la Rivoluzione industriale e poi la produzione seriale nell’industria. Società che oggi pare offrirci infinite possibilità, ossessionata dal desiderio di oggetti effimeri, rigurgitante di simulacri spettacolari. La nostra epoca è caratterizzata dall’individualismo, dal tutto e subito, dai legami deboli, dalla mancanza di un punto di riferimento a cui aggrapparsi, e pertanto è satura di sfiducia generalizzata, di precarietà, incertezza, ansia, solitudine e noia. Non esiste uno stimolo ad alimentare l’interesse per un intento comune. E spesso non esistono neanche stimoli per un intento personale. L’unica fuga da tale agonia non sono più la cultura e l’arte, ma è data dalla continua ricerca di un corpo esteticamente perfetto e privo di personalità e dal consumo bulimico. Analizziamo il concetto di consumo bulimico. Zygmunt Bauman afferma che “qualsiasi cosa possa essere lo shopping compulsivo/assuefattivo, esso è anche un rituale diurno voto a esorcizzare le orribili apparizioni dell’incertezza e dell’insicurezza che continuano a imperversare di notte. È in pratica, un rituale quotidiano”.
E noi oggi siamo schiavi di tali rituali, del consumo e del desiderio di consumare ed ogni cosa ci appare desiderabile solo finché non la possediamo. Tutto diviene oggetto di shopping e del consumo sfrenato e tutto perde il proprio valore effettivo. Le relazioni interpersonali, il corpo proprio ed altrui, la morale, la politica, le idee, il lavoro, ..tutto è precario e tutto è merce da consumare avidamente.
In tale contesto anche l’arte si è modificata tramite uno sviluppo la cui origine si può datare alla seconda metà degli anni Sessanta (a sua volta influenzata dall’avanguardie) e, nell’epoca dell’incertezza, del consumo e dello shopping, è anch’essa divenuta appunto merce da consumare.
Ma oggi l’arte è già anche qualcos’altro? L’arte mercificata cosa richiama o preannuncia?
Tenendo presente che l’inquietudine e incertezza odierne sono comunque caratteristiche che ci fanno comprendere meglio episodi già avvenuti (i quali però nel momento del loro avvenire non potevano essere colti, compresi ed apprezzati per intero poiché non ne eravamo abbastanza pronti), per rispondere a tali domande dobbiamo pertanto sia ripercorrere il nostro passato che divenire coscienti dell’attualità in cui viviamo.

COSA SIGNIFICA ESSERE LIQUIDI O SOLIDI
Nel XX secolo la società occidentale e tutto ciò che ne consegue (arti, morale, cultura, economia) si basa dapprima su un Capitalismo pesante e poi nell’attuale Capitalismo leggero. Il filosofo contemporaneo Zygmunt Bauman definisce il primo come Modernità solida ed il secondo come Modernità liquida. Per comprendere tali affermazioni dobbiamo innanzitutto capire le differenze tra solido e liquido.
I solidi sono corpi stabili, fissi, resistenti ad una modifica atomica e molecolare. I solidi, in qualche modo si potrebbe dire che, quasi annullano il tempo allungandolo enormemente in quanto non inclini naturalmente a modificarsi in uno spazio temporale da noi percettibile. Nella descrizione dei solidi pertanto il tempo è un elemento facilmente trascurabile. I solidi sono fissi, pressoché statici ed immutati. I solidi sono spontaneamente associabili all’idea di durabile, peso importante, legame, immobilità, rigidità, ordine, ripetitività.
I liquidi, a differenza dei corpi solidi, non mantengono una forma propria ma possono assumere qualsiasi forma.
Non fissano lo spazio. Non legano il tempo. Essendo sempre inclini, quindi, a modificare la propria forma ed il proprio andamento, possono essere definiti come forma solo in un determinato momento temporale. Viaggiano agevolmente e non sono facili da arrestare. Vengono infatti associati all’idea di instabilità, caos, variabilità, mobilità, elasticità, leggerezza e assenza di peso.
Basandoci su tali nozioni è possibile comprendere più facilmente l’evoluzione dell’arte e della nostra società nel tempo.

PRODURRE, DOMINARE, INGRANDIRSI
Con l’avvento della Rivoluzione Industriale si cammina velocemente verso il progresso, il moderno. Si aprono le porte ai macchinari che facilitano e velocizzano la produzione di oggetti rendendola non più artigianale ma seriale. Gli uomini in questo periodo sono uniti in un unico progetto che unisce gli intenti, i desideri: un futuro migliore per la comunità.
Comunità intesa soprattutto come territorio sicuro, perché sorvegliato, condiviso da persone simili che ubbidiscono spontaneamente – o quasi – alle stesse regole rigide. Comunità rivolta alla conquista del futuro. E per immaginare, conquistare, “/…/ dominare il futuro, occorre (però) avere in pugno il presente” . Occorre stabilire regole ferree, delimitare confini sorvegliati, rigidi ed impenetrabili. La libertà individuale non è concepita, ma apertamente ripudiata anche dalla stessa popolazione addestrata ad ubbidire agli ordini ed alla routine prestabiliti. È netta la divisione tra ideatori ed esecutori di ordini, tra amministratori e amministrati. All’interno di tale modello di società tutto appare servire per conseguire un fine determinato, preciso, anche se a prima impressione tale fine non traspare. C’è spazio solo per ciò che ha utilità, ma quest’ultima non è riconosciuta come fine legittimo. Il fine legittimo, infatti, è solo l’ordine, mentre il disordine è l’eccezione, l’anomalia da combattere, eliminare.
È una società in evoluzione, produttiva, ma basata sulla separazione quasi ossessiva tra pianificazione e realizzazione, iniziativa ed esecuzione ordini, basata sul controllo, sull’immobilità. Immobilità dei lavoratori inchiodati nello spazio/tempo determinato dalle esigenze della catena produttiva con gesti ripetitivi semplici standardizzati, alienanti. Lavoratori inchiodati nel proprio luogo di lavoro meccanico. Immobilità delle autorità manageriali inchiodate anch’esse per l’esigenza di effettuare controllo sui lavoratori. Immobilità del capitale legato ad investimenti inchiodati al terreno quanto i lavoratori assunti con esso.
È una società ossessionata dalla grandezza, dal peso, dai confini, la grandezza fisica delle strutture è indice di potere (fabbriche giganti, macchinari giganti). L’imponenza è sinonimo di potenza. “Grande era bello, grande era razionale, grande era sinonimo di potere, ambizione e coraggio”.
In questo il modello fordista rispondeva appieno; infatti, come afferma Bauman, “Il fordismo rappresentò l’autocoscienza della società moderna nella sua fase “solida”, “massiccia” o “immobile” e “radicata”. /…/(Come già accennato) il capitalismo pesante era ossessionato dalla dimensione e dal peso, e di conseguenza anche dai confini e dall’imperativo di renderli fissi e inaccessibili ”.
La popolazione si sente sicura, parte integrante di una comunità mossa dallo stesso scopo, convinta che chi detta le rigorose leggi è in grado di condurre la comunità a destinazione, verso un futuro migliore, florido. Con tali convinzioni, quindi, la popolazione si concentra semplicemente e quasi spontaneamente nell’assimilare le leggi, le regole imposte. L’unica ribellione e lamentela verso l’autorità/amministrazione è riferita ad un’eventuale procedere troppo lentamente o a un’esigenza di maggior benessere.
È il momento della Modernità solida, del Capitalismo pesante, della società compatta e organizzata.
Tale modello di società tende però pericolosamente al militarismo e al totalitarismo. Nell’epoca della Modernità solida con l’ossessione per tutto ciò che è enorme, grandioso, per i confini rigidi, per la conquista territoriale e le colonie al fine di ingrandire il proprio potere, progresso significa dimensione sempre crescente e di conseguenza, purtroppo, espansione spaziale.

COME L’AVANGUARDIA ANNUNCIO’ L’ARTE DA CONSUMARE
Anche l’arte si vede intrinsecamente condizionata in tale contesto sociale. È influenzata dalla logica produttiva, dalla serialità e dalla ricerca del progresso materiale, tipici del Capitalismo pesante.
Intorno al 1848, nel momento in cui la successione di ondate rivoluzionarie scuote l’Europa, le arti, che anticipano sempre gli eventi, s’impregnano dell’atmosfera di evoluzione, lotta e conflitto sociale. E attorno al decennio del 1870 nasce l’Avanguardia. Il termine Avanguardia, essendo di provenienza militare, inizialmente indicava i corpi più avanzati dell’esercito mentre ora indica un’arte più avanzata e antiaccademica, non-conformista, in prima linea nella lotta col progresso dell’umanità.
Ora, infatti, “il termine francese Avant-Gard /…/ si riferisce ad architetti, artisti, scrittori e musicisti le cui tecniche e idee (sono) più avanzate di quelle generalmente riconosciute o accettate”. L’artista è adesso responsabile dell’umanità e moltiplicatore del progresso, egli lotta per il nuovo. È un nuovo rinnovamento creativo, espressivo, formale e linguistico, di cui massimo esponente l’artista Marcel Duchamp con i suoi Ready-made. L’intervento di Duchamp avviene nel contesto del nascente universo della serialità produttiva, della riproduzione tecnica dell’immagine con la fotografia, nel contesto della nascente cultura di massa. Con i suoi Ready-made Duchamp apre un discorso di destrutturazione del concetto di originale in contrapposizione alla copia. I suoi Ready-made sono infatti oggetti già fatti industrialmente, di poco valore estetico, disponibili a chiunque, sono l’appropriazione di un’idea con prodotti già esistenti e d’uso comune. I Ready-made sono l’importante indice della perdita della gerarchia e dell’esclusività tradizionale dell’arte nel processo di produzioni d’immagini. Il dato deciso dei Ready-made è l’idea. L’innovazione, la rivoluzione.
Ora sono i materiali, i supporti, i temi, la tecnologia, l’industria, i motivi di uso comune nella cultura di massa a caratterizzare l’arte, la quale sperimenta un’osmosi con nuove tecniche creative fino allora considerate inadeguate (o di solo valore documentaristico/reportagistico): la fotografia, il cinema, la pubblicità, la grafica, il design.
È qui che si stabilisce l’inizio di quel processo già accennato (v. Introduzione pp. 2-3) che ci ha portati verso il concetto attuale di arte come merce di consumo. E Duchamp con i suoi Ready-made diviene uno statuto nell’arte.
Ma è stato subito compreso e trattato come tale? La risposta è ovviamente negativa. E qui ritornano i concetti di parallasse e azione differita già trattati (cfr Introduzione p. 2). Non è possibile comprendere appieno l’attualità nel momento stesso in cui è definibile come tale. È con il tempo e con il guardarsi addietro, è con l’esperienza, con l’analisi e la critica postume che si riesce ad entrare nel passato. Così, come dapprima lo statuto di Pablo Picasso con Les Demoiselles, anche lo statuto di Duchamp è un effetto retroattivo dovuto alle infinite osservazioni letture critiche e risposte attraverso uno spazio-tempo dialogico dell’arte d’Avanguardia e della capacità di ricezione dell’istituzione. E allora possiamo affermare che l’Avanguardia si è costituita, come anche le successive neoavanguardie, in un continuo dialogo e spirito critico, “come in un continuo processo di spinte in avanti e indietro, un complesso di futuri anticipati e passati ricostruiti, in breve, in un’azione differita che rovescia ogni semplice schema di prima e dopo, causa ed effetto, origine e ripetizione.”
Con l’Avanguardia, quindi, si sottolineano l’ideologia del progresso, l’appropriazione della cultura industriale, la critica sull’originalità, sull’istituzione arte. L’”Avanguardia mima il mondo degradato della modernità capitalista non per parteciparvi, ma per deriderlo (come nel dada di Colonia). /…/ (l’Avanguardia) propone non tanto ciò che può essere, quanto ciò che non può, di nuovo come una critica di ciò che è (come in de Stijl). /…/ (e) non bisogna dimenticare la sua forma di pura retorica”.
Nella Modernità solida l’Avanguardia non solo non è compresa a dovere e rinnegata (com’è normale che sia per i concetti di parallasse e azione differita) ma è anche repressa storicamente in quanto, rimanendo in linea alle regole ferree del Capitalismo pesante e dell’istituzione dell’arte, è associata spesso al Comunismo. Seppur si concilia perfettamente con i nuovi concetti sviluppatosi dell’industria e della merce, quindi, l’Avanguardia in Europa è rinnegata e soppressa dal nazismo e dallo stalinismo. Nell’America del Nord non è rinnegata ma, comunque, rallentata da forze anti-moderniste e dalle nuove politiche della guerra fredda che legano l’avanguardia al bolscevismo.
È così che soprattutto con la neoavanguardia si comprendono e si recuperano finalmente i concetti dell’Avanguardia storica in una critica creativa che conferma e rivaluta il passato.
“La prima neoavanguardia (infatti) recupera l’Avanguardia storica (dada in particolare) e lo fa letteralmente, attraverso una ripresa dei suoi mezzi base, il cui effetto non è tanto di trasformare l’istituzione arte quanto di trasformare l’avanguardia in istituzione. /…/ (Concetto che possiamo comprendere) paragonandolo al modello freudiano di repressione e ripetizione. Secondo questo modello, se l’avanguardia storica è stata repressa storicamente, essa viene ripetuta dalla neoavanguardia piuttosto che, secondo la distinzione di Freud, ripresa, e anche le sue contraddizioni vengono elaborate. /…/ è una ripetizione (una ricezione certo) intesa come resistenza. Non è necessariamente reazionaria /…/ si tratta di un processo inconsapevole.”
L’Avanguardia storica e la prima neoavanguardia hanno spesso sofferto di tendenze anarchiche e non sono riuscite nel totale tentativo di distruzione dell’istituzione arte. Hanno però reso possibile alla seconda neoavanguardia un’analisi decostruttiva dell’istituzione arte, anche se con toni qualvolta apocalittici. Al contrario, il nostro presente e la nostra Modernità liquida sono svuotati dalla sensazione di rivoluzione imminente, sono come in letargo; e gli artisti contemporanei rivolti ad un’analisi della seconda neoavanguardia non sviluppano più grandi contrasti e opposizioni.

ANDANDO VERSO LA MODERNITA’ LIQUIDA ED IL CONSUMO
Poi la seconda guerra mondiale. Buco nero nella cultura dell’Europa, periodo di censure, di orrori, carestia, distruzione e repressione. L’arte è quasi esclusivamente propaganda politica. Se non lo è, è repressa. Inevitabile conclusione di una società totalitaria come quella descritta finora della Modernità solida.
Nel clima del dopoguerra la società europea si rivolge totalmente ad una nuova rinascita, una ricostruzione, una ripresa industriale ed economica.
Ed è l’inizio del processo che ci porta alla Modernità liquida.
È un momento di conquista del tempo, dello spazio, della velocità. Ci si appropria del concetto d’istantaneità. Coloro che si muovono e agiscono più velocemente, che si avvicinano all’istantaneità del movimento sono coloro che dominano. Tale dominio consiste nella capacità di sfuggire, svincolarsi, nel decidere a piacimento la velocità con cui muoversi e nel non farsi ostacolare nel movimento da chi è dominato. E la differenza tra lontano e vicino è cancellata. Si inaugura la svalutazione dello spazio, la morte dei confini. Con la Land art si erodono, ad esempio, i confini tra dentro e fuori, si incrina l’autoreferenzialità del mondo dell’arte e si ridefinisce il concetto di paesaggio; sono creazioni che cambiano il concetto di scultura utilizzando la materia Natura e spazi immensi. Gli stessi artisti della Land art dicono: “Tutti i nostri lavori hanno una sensazione di “presenza-assenza”, un’urgenza di essere visti, perché domani non ci saranno più.”
In questa logica essere pesanti, grandi, e ancorati al suolo, come richiedeva la Modernità solida, non è più sintomo di potenza ma anzi limitazione ed handicap. Bauman sostiene che “/…/ poiché tutte le parti di spazio possono essere raggiunte nello stesso arco di tempo (vale a dire “all’istante”), nessuna parte di spazio è privilegiata, nessuna ha un “valore” speciale. /…/ “Istantaneità” significa acquisizione immediata, “sul posto”, ma anche immediata perdita di interesse. “
È il tempo di sbarazzarsi dell’onerosa attività di gestione e supervisione di un’ampia forza lavoro. In tutto questo ha preso piede l’ossessione per il ridimensionamento e per le fusioni, con le quali il capitale ha la possibilità di muoversi velocemente senza limiti. La curabilità perde attrattiva e ciò che non funziona, anche se solo temporaneamente, si taglia. Si tagliano posto di lavoro, settori produttivi, rapporti interpersonali. È l’era del poco durevole, del desiderio che spinge al consumo, l’era della globalizzazione. Della precarietà. È l’epoca in cui il cittadino non è più tale ma semplicemente individuo e come individuo è totalmente responsabile del suo futuro, della sua vita, è solo col suo destino. Un destino che però promette miriadi di possibilità ma non mostra i mezzi per raggiungerle creando incertezza e insoddisfazione. L’attuale società consumistica, la Modernità liquida, è caratterizzata pertanto dall’ansia di prestazione, dal senso d’abbandono, dal sentirsi inadatti, da una continua ricerca e crisi d’identità, dall’essere frenetici, dall’anoressia e bulimia manageriale, sociale ed estetica.
In questa visione, sia nel sociale che nell’arte, il motto vincente è “usare, consumare tutto e subito, essere leggeri e veloci”.
Gli artisti non si riconoscono più nell’astrazione, nel surrealismo, cercano di riportare l’arte verso la vita ed il reale avvicinandosi sempre di più alla cultura di massa e si guardano indietro in un ritorno, una ripetizione delle avanguardie. Si ribellano alla differenza tra arte colta e arte popolare. Si rifiuta l’idea dell’artista eroe, concetto tipico della Modernità solida.
L’avvento nell’industria delle plastiche sintetiche e del concetto usa & getta rivoluzionano definitivamente la cultura economico-sociale e la produzione artistica.
Dall’influenza del rimando del cubismo nascono i nuovi realismi, dal ripetere e rivedere il dada nasce la Pop-art. L’arte guarda e impara dai nuovi mezzi di comunicazione di massa. L’arte è fatta per stimolare una reazione del pubblico. Si esaltano gli oggetti e l’arte è importante in quanto tappa del processo nella creazione degli stessi. Il tocco e la scelta dell’artista devono essere quasi nulli. Deve risaltare solo l’azione creativa.
E mentre i nuovi realismi rifiutano l’egocentrismo e l’interiorità soggettiva dell’artista astrattista e surrealista, gli artisti pop hanno un atteggiamento tendente all’indifferenza dando importanza alla mimesi, all’immagine presa, recuperata, prelevata. La soggettività è annullata. Non è più importante l’oggetto in sé ma la riproduzione dello stesso. L’arte è produzione industriale, è automatismo. Si esaltano il consumo e la merce. Tutto diviene a disposizione per un consumo libidinoso e bulimico. E nel contempo stesso si perde interesse per ciò che si è portati freneticamente a consumare.
L’arte è spesso ossessione e ripetizione come prosciugamento del significato e difesa contro l’emotività. Secondo Freud, ripetere un evento traumatico (nelle immagini, nelle azioni e sogni) è un atto col fine di voler integrare tale trauma in un ordine psichico e simbolico in modo da liberarsene tramite il dolore. A questo punto si può affermare che il ripetere tipico della Pop-art tende a produrre e ri-produrre effetti traumatici per superarli. Il reale non viene percepito, vissuto perché è sostituito dagli oggetti, dal consumo che ci inebriano i sensi col desiderio e deformano la realtà. Il reale è sfuggente e risulta mancato per cui in quanto tale non può effettivamente essere rappresentato ma solo essere ripetuto. Tale ripetizione non è riproduzione nel senso di rappresentazione di un referente o simulazione di un’immagine pura, di un significante separato. È solo ripetizione del reale che serve a schermare un reale, appunto, percepito come traumatico.
È con la tecnica che nella ripetizione si lavora e produce il trauma, che si mette in mostra il nostro mancato incontro col reale: con sfocature, fuoriuscite dall’immagine, diluizione del colore, strappi dell’immagine, etc.
Intorno agli anni ’60 si sviluppa un altro movimento artistico legato alla produzione seriale, il Minimalismo, che poi in parte si evolverà nell’arte concettuale. Le prime mostre con installazioni minimaliste si tengono a New York nel 1963/’64. Il movimento minimalista, in linea con la nuova società influenzata dal capitalismo leggero, è caratterizzato da antiespressività, impersonalità, freddezza emozionale, strutture elementari, pittura pura fine a se stessa senza voler esprimere null’altro, colori a tinta unita spesso industriali, forme geometriche semplici. È fondamentale che lo spazio espositivo risulti parte integrante dell’opera, contestualizzare quindi l’opera nello spazio che occupa.
Come disse l’artista Giorgio Griffa “non rappresento nulla, dipingo”. Frase che può essere considerata il motto del movimento.
Il minimalismo critica, contraddice l’espressionismo astratto, suggerisce invece una relazione con il tempo in cui l’arte occupa uno spazio e pone le basi per l’accettazione delle successive arte processuale, body-art, land art, performance, etc. Pone un nuovo interesse per il corpo con la presenza dei suoi oggetti che occupano spesso uno spazio in modo unitario e simmetrico come fossero quasi delle persone. Dei corpi appunto.
Con il minimalismo muore l’autore ma avviene una nuova nascita: quella dello spettatore.
Il minimalismo è in linea con la Modernità liquida dove tutto diviene spettacolo e dove tutto assume importanza solo in quanto tale, dove lo spettatore interagisce con lo spettacolo, fino a divenire parte di esso.
“/…/ con il minimalismo la scultura non sta più in disparte (su un piedistallo) né può esistere in quanto arte pura, ma è riposizionata tra gli oggetti e ridefinita in termini di spazio. In questa trasformazione lo spettatore, rifiutando lo spazio sicuro, sovrano, dell’arte formale (modernista), è riportato indietro al qui e ora. /…/ è spinto ad esplorare le conseguenze percettive di un particolare intervento in un dato luogo”.
Gli oggetti industriali del minimalismo e i simulacri della pop art mirano all’opera d’arte in serie, alla produzione e consumo seriali, alla logica economica di una cosa dopo l’altra e dell’usa & getta; per la prima volta si aprono le porte alla penetrazione del segno da parte del capitale e così la produzione e consumo seriali divengono parte integrante dell’opera d’arte.
Oggi tale logica della ripetizione, della differenza, sono concetti acquisiti ormai da tempo, ma concetti nati appunto nell’arte d’avanguardia degli anni Sessanta.
Gli anni Sessanta sono il momento della dissoluzione del segno e la mercificazione della cultura. È l’inizio del segno-merce: l’opera d’arte in sé viene ridotta a merce, a valori d’uso e a simulacro di scambio; il segno si divide in significato e significante. Il segno si dissolve, può assumere le funzioni di valore di scambio. E soprattutto si pongono le basi su cui lavoreranno molti artisti, soprattutto appropriazionisti, degli anni Settanta e primi Ottanta: fare a pezzi il segno mitico, il segno-merce e riproporlo come mito artificiale, proporre come feticci sia le immagini della storia dell’arte che della cultura di massa. Con l’arte di appropriazione si vuole analizzare e mettere in crisi la sicurezza degli stereotipi, esporre la realtà che c’è dietro la rappresentazione. Come la decostruzione, l’appropriazionismo critica l’idea di competenza, originalità, autorità e proprietà, esponendo la realtà come rappresentazione. D’altro canto tale lavoro di critica ideologica diviene, per molte opere d’arte, derisione e la decostruzione diviene complicità con l’originale se si trasforma in replica.
Ed è soprattutto con la commodity sculpture che si rompono i confini tra arte alta e cultura delle merci, del consumo.
Nel 1914 Duchamp presenta come opera d’arte uno scolabottiglie. Pone riflessioni, interrogazioni sul valore estetico e sull’importanza dell’arte, sul valore di scambio e valore d’uso. Valori che avvicinano l’arte al concetto di merce e, con la commodity sculpture l’arte si avvicina al concetto di consumo. Ed è negli anni Ottanta soprattutto che molti artisti presentano oggetti di scambio e d’uso in luoghi e/o modalità finora deputati per l’arte. Arte e merce ora sono una cosa sola. Entrambe sono desiderate, apprezzate, acquistate e consumate proprio in quanto segni di scambio. Con il simulazionismo si riafferma la pittura geometrica, si rimette in questione il concetto di copia e modello. È ancora un ritorno ed una comprensione del passato con una rivisitazione caratterizzata dal presente. La commodity sculture e la pittura di simulazione sono parte di un’economia fatta da una cultura dominante dove artista e mecenate osservano l’arte come segni di prestigio e investimento e trattano qualsiasi cosa come un segno-merce di scambio. È un’economia politica diretta da un’elite professionale-manageriale che all’inizio degli anni Ottanta è il motore del boom del mercato dell’arte andato poi in crisi nel 1987.

CORPO COME MERCE“L’uomo è ingannato da ciò che sta al di là. Dietro l’immagine, secondo (Jacques) Lacan, sta lo sguardo, l’oggetto, il reale, con cui è “il pittore in quanto creatore… a preparare il dialogo”.
E come già detto, il reale non può essere rappresentato (vedi p. 8) perchè non è possibile riproporne l’illusione perfetta e se anche lo fosse non potrebbe riproporre di “ciò che sta al di là”, mancherebbe comunque qualcosa. L’inganno, l’illusione perfette non esistono ed il reale rappresentato può divenire solo un negativo del simbolico, un incontro mancato, la perdita di qualcosa. L’iperrealismo, ad esempio, che cerca di restituire la realtà dell’apparenza in realtà sigilla il reale dietro le superfici e lo ostacola.
Sia l’arte pop, che tramite la ripetizione vuole rivivere il reale come evento traumatico per digerirlo, così l’iperrealismo, che vuole soffocare e intrappolare il reale nelle superfici, sono vicini allo spettacolo capitalista della Modernità liquida fatto di linee disordinate e superfici brillanti: la seduzione narcisistica delle vetrine, il seducente luccichio degli oggetti offerti, il sex-appeal del segno-merce, la merce femminilizzata. Ed il femminile, quindi, mercificato che l’arte tende più spesso a celebrare che criticare, seppur inconsapevolmente, trasformandosi da decostruzione dell’originale rivolta alla critica in replica, in un gioco pericoloso di complicità con l’originale stesso. Questo fa l’iperrealismo ancor più di quanto fa la Pop-art. L’iperrealismo ha un legame nascosto col passato surrealismo. Sebbene entrambe agiscono sul feticismo sessuale, del corpo femminile e delle merci, il surrealismo vuole svelare il reale nascosto, mentre l’iperrealismo vuole sottolineare e nascondere il reale. È un’ossessione di voler reprimere, appiattire, nascondere il reale che non fa altro che metterlo in luce.
Negli anni Sessanta e Settanta si ha un nuovo modo di percepire il proprio e altrui corpo. Soprattutto nel campo artistico. Processo che negli anni Novanta è accresciuto con lo sviluppo della chirurgia estetica.
Il corpo è alla mercè dello sguardo altrui, è lì pronto all’uso, è merce nella ricerca del reale, è manipolabile, modificabile, è strumento.
Si tende a far apparire il corpo come un doppio del soggetto violato, con le sue parti esposte come residui di violenza e/o tracce di trauma. È una ricerca alla rievocazione della ferita che ha provocato la perdita del reale. Il corpo è privo di personalità, è materia, è merce da consumare. L’arte mette in mostra anche escrementi (per lo più sono surrogati), secrezioni, organi, l’inorganico, come per ricercare un rapporto più animalesco e carnale col corpo privo ormai di un qualunque significato naturale. È un ribaltamento simbolico della visibilità fallica del corpo eretto, del primo passo fatto verso la civiltà. Una civiltà che ci ha arricchiti di merci ma che risulta privarci di qualcos’altro di più interiore. La forma verticale simbolo del corpo eretto è un tema ricorrente nell’arte del XX secolo spesso rappresentata con lo sbandieramento dell’erotismo anale.

ABIEZIONE
La cultura, le società attuali, la Modernità liquida convertono totalmente verso il concetto morale che identifica il bene con il piacere individuale, immediato ed effimero. La nostra è una dimensione edonista basata sul capitalismo multinazionale.
Attualmente l’uomo è privato d’ogni affetto, è solo, è così rigurgitante di oggetti fino a diventare oggetto anch’esso, quasi a divenire il nulla radicale del cadavere. E allora per esorcizzare il trauma del mancato c’è l’attrazione per il trauma, per il desiderio di abiezione. E l’arte cerca di identificarsi con il nulla interiore, con l’abietto, cerca di sentire la ferita o di rappresentare la condizione di abiezione per rendere tale stato repellente. Alcuni artisti mettono alla prova il corpo femminile, il materno represso alla legge maschile, paterna; altri artisti assumono invece una posizione infantile come risposta, perversa, di allontanamento alla legge maschile, patriarcale. L’arte contemporanea utilizza in tal modo una mimesi regressiva già dichiarata in passato (negli anni Venti/Trenta e tra gli anni Settanta e Ottanta). Si rappresenta l’abbandono, l’inaffettività.
Si rappresentano senza veli la malattia, la morte, l’assenza. È un esorcismo per liberarsi dall’attuale assenza del reale, degli affetti, sostituiti con il desiderio di consumo.
Il paradosso esistente sembra essere: “affetto puro, nessun affetto: fa male, non sento niente.”
È usuale l’atteggiamento dell’indifferenza che spinge all’individualità e, soprattutto, ad esprimere stanchezza verso le politiche della differenza (sessuale, etnica, sociale).
Nella società consumistica della Modernità liquida, dove si alimenta in modo ossessivo il desiderio che spinge spasmodicamente al consumo basandosi proprio sull’ambizione del sentire la differenza per appartenere, l’atteggiamento dell’arte abietta si pone probabilmente come risposta critica alla società consumistica.

IDENTITA’ CONSUMATA

L’arte e la società moderna e contemporanea si sono rivolte spesso alla ricerca dell’identità. Ma la ricerca d’identità in una società individualista e consumistica come quella attuale è un percorso impervio, incerto, al buio. L’unica identità si ritrova consumando un determinato prodotto invece che un altro. ci riconosciamo come individui in base a ciò che consumiamo.
Dagli anni Sessanta, con gli sviluppi dell’arte minimalista fino ad oggi, c’è stata anche una svolta etnografica da tenere in considerazione. L’arte diviene una rete discorsiva di pratiche e istituzioni diverse , di altre identità, di altri soggetti e comunità, del diverso, di nuovi movimenti sociali (diritti civili, femministi, politiche gay, multiculturalismo). L’arte si occupa di temi che l’avvicinano all’antropologia, alla mappatura, ad un concetto di cultura più ampio. Molti artisti descrivono “geografie immaginarie e materiali del capitalismo avanzato” come i luoghi non luoghi (centri commerciali, aeroporti, stazioni di servizio, etc.) descritti dall’artista Marta Rosler ed ancora attuali. Luoghi della Modernità liquida che non hanno personalità e carattere, luoghi solo di passaggio, che non uniscono o definiscono chi ne fa uso. Luoghi determinati, circoscritti e sicuri. Luoghi senz’anima. Luoghi senza una vera e propria identità e per questo facilmente controllabili dal capitalismo e dallo Stato.
Nel processo personale di ricerca della propria identità, sono necessarie anche la proiezione del sé e la protezione dall’eventuale troppa identificazione con l’altro, la quale può compromettere la propria e giusta considerazione di sé. Per evitare troppa o troppo poca considerazione e distanza dall’altro, è importante contestualizzare sé, l’altro, i due insiemi.
Attualmente si è troppo vittime della disindentificazione dell’altro. C’è una disarmonia delle distanze. le politiche culturali di sinistra e destra sono bloccate in questa modalità che spinge nuovamente verso il culto dell’abiezione. La sinistra è troppo ansiosa di appropriarsi della differenza e divenire la differenza stessa. La sinistra si identifica troppo con l’altro come vittima compromettendo l’alterità e chiudendosi in una gerarchia di sofferenza dove il dannato può fare poco danno e dove chi si identifica con il dannato è assorbito da perbenismo non obiettivo. La destra, invece, tende a voler annullare e non riconoscere la differenza come se fosse una minaccia alla propria identità. La destra si disindentifica dall’altro che rimprovera come vittima costruendo una solidarietà politica basata sulla paura e sull’odio dell’altro, tipica della Modernità solida e dell’autorità fascista. Seppur quest’ultime sono spaventate dalla presenza e riconoscimento dell’altro che porta alla frammentazione del soggetto reso fluido, il capitalismo avanzato invece può prosperare grazie a tali sconvolgimenti. Si celebra così l’ibridità, l’eterogeneità, la libertà. Senza multiculturalismo, infatti, non esisterebbe l’economia globalizzata. In tale contesto, definito da George Bush come New World Older (nuovo ordine mondiale), tutto è in funzione del consumo e anche l’identità e la differenza si possono consumare.

COMPIMENTO DELLA MODERNITA’ LIQUIDA
L’attività del consumare viene effettuata individualmente, è un’attività che non prevede la cooperazione ed il senso di comunità. Questo ci porta ad un senso di solitudine che dà incertezza e frustrazione. La socialità è prevista solo a distanza ed in tempi brevi. Non implica rapporti stabili ma veloci e temporanee connessioni. Siamo privi d’affetti ed emozioni perché assuefatti e disabituati. Siamo terrorizzati dal sentire e provare ma allo stesso tempo ne siamo alla ricerca. Non siamo più in grado di comunicare, entrare in empatia con l’altro e utilizziamo modalità e mezzi di comunicazione che non implicano il metterci troppo in gioco. E mentre negli anni Ottanta ci spaventava l’idea di nostre repliche o cloni con sentimenti e personalità umane, oggi quasi vorremmo poter utilizzarli per provare indirettamente contatto fisico ed emozione senza traumi. E si comunica/approccia con brevi connessioni, con rapporti veloci, usa & getta. Il durevole è inconcepibile. E lo è anche il pensare che l’io diventi noi.
Nell’epoca attuale in cui tutto è divenuto spettacolo (soprattutto la tragedia ed il privato), quest’ultimo elimina la distanza esterna e la ripropone come distanza interna: gli spettatori sono simultaneamente tutti connessi alle immagini centrali e tale connessione separa gli spettatori in modo seriale lasciandoli soli in una fantasia spettacolare che garantisce la separazione gli uni dagli altri. In tale contesto il nostro mondo mediale ci rende tutti connessi a eventi spettacolari. Collegamento che ci isola ancor di più in un individualismo sterile e anaffettivo, che ci consente di essere connessi e disconnessi simultaneamente, ci rende psico-tecnologicamente in diretta connessione con gli eventi ma anche geopoliticamente lontano da essi. Sono eventi mediati massicciamente che producono una collettività psichica. Una specie di nazione psichica.
È in parte un ritorno al soggetto fascista. Ma viviamo comunque la separazione spazio-temporale (l’immediatezza), la separazione morale (paradosso del disgusto indebolito dall’attrazione o dell’empatia minata dal sadismo) e la frantumazione dell’immagine del corpo ( l’estasi della dispersione salvata dall’armatura).
È un po’ un ritorno quindi ad una Modernità solida ma allo stesso tempo ancora liquida. Non siamo troppo rigidi e fermi, non siamo più tanto leggeri e mobili. Ma siamo forse entrambe le cose in un ibrido confuso. È probabilmente un momento di passaggio, di nuova trasformazione dalla Modernità liquida a qualcos’altro che ha richiami dal passato, dalla Modernità solida. Potremmo quasi definire che tendiamo ad una futura fluidità densa?
In tale contesto di precarietà, incertezza, solitudine e spettacolarità, l’artista non può che rispondere con l’abiezione, la ricerca del reale, del figurato. La ricerca di ciò che abbiamo perso. Artisti e società sono legati dalla riduzione identitaria di entrambe, l’apparente autenticità dell’uno garantisce quella dell’altro. Come l’artista si erge nell’identità della comunità locale gli si può chiedere di rappresentare questa identità istituzionalmente. L’artista è privatizzato, antropologizzato. L’arte diviene parte del processo mediatico e consumistico, dove non è più importante l’oggetto da consumare ma il desiderio stesso di consumo. In tale contesto il curatore delle Mostre assume un’importanza quasi maggiore dell’artista. Come fosse lui il creatore dell’identità in mostra; creatore di una merce e di un’artista da consumare. Oggi l’arte, come la società stessa, è in un’ isteria produttiva, chiusa in circuiti di mercati in cui l’artista stesso è poco in considerazione. E siccome l’artista è in realtà testimone del proprio tempo e l’arte se ha una funzione è proprio quella di indicare una crisi per dare la possibilità di intervenire, potremmo quasi affermare che la Modernità liquida e la società basata sul consumo sfrenato istantaneo sono al loro compimento. L’arte ci sta richiamando alla presa di coscienza di una nuova identità sociale ed individuale e ad un nuovo ritorno del reale.

URS FISHER, UN ARTISTA CONTEMPORANEO

È con artisti contemporanei come Urs Fisher che l’arte ci definisce l’attuale situazione sociale raccontando sempre più spesso una situazione post-apocalittica, pre-catostrofica, neo-esistenzialista e straniante .
In linea con l’arte concettuale, spesso le opere di Urs Fisher alterano gli spazi nelle quali sono collocate e, così, coinvolgono lo spettatore; generano una riflessione sul confine effettivamente sempre più labile tra realtà e rappresentazione nella società dello spettacolo. Urs Fisher gioca con le sensazioni, esplora lo spazio virtuale creato da un gioco di specchi. Una ricerca di appartenenza ad un luogo che ci possa definire la nostra identità smarrita nei meandri dell’irreale consumistico e dei luoghi non luoghi.
Fischer crea, assembla, modifica foto, immagini con precisione iperrealista. Le mette in mostra sospese a mezz’aria in modo che sembrino fluttuare: simulacri intangibili privi di ogni pretesa di realtà. Quelle di Fisher sono cascate di immagini che si contrappongono alle immagini patinate e perfette dei cartelloni pubblicitari. Le sue sono immagini imperfette, ambigue e decadenti. E allora a chi le osserva provocano un senso di smarrimento, straniamento, e al contempo la sensazione di sentirsi osservati, di essere sotto costante sorveglianza. Ma chi ci sorveglia?
Quello di Fisher è un universo inconsistente senza fine, senza limiti e confini; sfuggente e disorientante come l’esperienza di ritrovarsi a vivere e/o attraversare una metropoli del consumismo massi mediale.
I suoi lavori, richiamando appieno l’incertezza contemporanea ed il consumo istantaneo, in genere si deteriorano durante il corso delle mostre: le sue sculture combinano l’organico con l’inorganico, assemblaggi pericolanti, oggetti di cera che si consumano come candele, figure distorte rispecchiate all’infinito in modo quasi ossessivo.
Egli descrive il nostro universo precario nel quale la bellezza convive e quasi entra in fusione col macabro.
Urs Fisher è un artista eclettico, un artista liquido. Il suo modus operandi varia da mostra a mostra rendendo impossibile una schematizzazione, una sua collocazione ed identificazione con una posizione fissa. Ma comunque nel suo vagabondare nel concetto di stile, egli attinge di continuo al passato. Come i surrealisti, infatti, tratta l’informe, il feticismo.
I suoi corpi, a volte tratti a pezzi (vedi foto A), si sciolgono, sono mutilati, decomposti, e le sue imbellettate figure femminili in cera si autodistruggono, lentamente. Sono incarnazioni del disfacimento che attaccano la bellezza perfetta e patinata imposta dalla società contemporanea, una bellezza irreale. Ma allo stesso tempo sono anche oggetto di attrattiva e hanno il potere di seduzione dell’informe surrealista.
Sempre di ispirazione surrealista, l’artista di frequente richiama e utilizza il motivo dell’oggetto antropomorfo. E allora ritroviamo spesso la sedia come surrogato del corpo (vedi foto B), assemblata con altri oggetti che dichiarano un’assenza-presenza o decostruita, mostrata in una posizione che richiama un equilibrio instabile, precario.
Mette in discussione il concetto di scultura. Alcune sue opere nascono da modellini e pezzi di creta modellati, manipolati, pressati. E la forma dell’opera è determinata solo dalla pressione esercitata dalla mano sul materiale (vedi foto C).
Nella sua ultima Mostra al New Museum di New York si è addirittura affermato che Fisher ha violentato il Museo con le sue sculture. Il curatore della mostra, Massimiliano Gioni, esaltato come una vera star al posto dell’artista stesso, sottolinea che si tratta di un'introspettiva più che una retrospettiva. Perché Fisher è introspettivo. Ed è un’introspezione sconvolgente, come sconvolgente è la realtà in cui viviamo. E l’artista ha dedicato l'ultimo lustro alla produzione di alcune delle opere che hanno rivoluzionato tre dei sette piani del New Museum.
Dopo aver stupito il mondo dell'arte contemporanea (che ormai effettivamente fatica a stupirsi perché anestetizzato) con crateri di terra nella galleria Gavin Brown di Manhattan , con le donne di cera che si consumavano col calore nella londinese Sadie Coles HD, con le casette di pane con verdura appesa al soffitto e alberi di fotografie per la fondazione Trussardi di Milano, questa mostra rappresenta alcune autentiche novità. È la prima personale di Fischer in un museo Americano, ed è soprattutto la prima volta che il New Museum si fa rivoltare come un calzino da un artista.
Il museo si è messo, infatti, a totale disposizione della follia pop dell’artista, permettendogli di alzare pareti di cartongesso da squarciare/sfondare con opere mastodontiche, per creare un one man show senza lesinare. L'artista stesso è diventato allestitore. Egli ha unito alle nuove opere alcuni dei pezzi più importanti della sua produzione. Di lui dicono che combini l'immediatezza della Pop art a un neo-Barocco gusto dell'assurdo.
Ed inserito in questo filone è sicuramente uno dei maggiori talenti sulla scena internazionale.
Per il quarto piano del museo ha pensato delle enormi sculture biomorfe (vedi foto C) in alluminio che arrivano anche fino a 4 metri di altezza, modellate e manipolate come fossero morbide argille, a metà strada tra creature mutanti e una rappresentazione fumettistica delle pietre di Stonehenge. E accanto a queste grandi installazioni sono esposte anche opere più piccole, ma cariche di un'irriverenza forse ancor più impattante, come una lingua che spunta da un muro intenta nell'atto di leccare (vedi foto A).
È però al secondo piano l'opera centrale, la più importante, quella fatta per suscitare lo stupore vero: un labirinto allucinatorio formato da scatole riflettenti per comporre il quale sono state necessarie 25.000 fotografie e 20 tonnellate di acciaio. Un'installazione che riproduce una Manhattan sproporzionata dentro cui lo spettatore si immerge e cammina incontrando scarpe da ginnastica enormi, un modellino dell'Empire State Building alto circa 6 metri, un éclair gigante e cremoso, una bistecca formato brontosauro e l'effige della cantante pop Ashanti. Tutto si moltiplica e si riflette nel percorso specchiato per creare un effetto straniante o, per dirla con le parole del curatore, una rapsodia visuale sincopata.
La tendenza odierna dell’arte è, quindi, forse anche e soprattutto quella di rivoluzionare completamente gli spazi museali, di violare le sale ed in qualche caso addirittura di violentarle.
Le opere d'arte penetrano o fuoriescono da dove non ci si aspetta, ci stupiscono, ci ammaliano e ci disorientano, rispecchiano i nostri stati d’animo. L’arte diviene quasi una giostra per adulti.
Fecero scalpore tre anni fa a Londra gli scivoli di Castern Holler nella sala delle turbine della Tate Modern, il pubblico faceva la fila per saltarci dentro; oggi fanno meno scalpore le opere incastrate da Anish Kapoor nelle stanze un tempo immacolate della Royal Academy of Arts; ed ora Urs Fischer tenta di strabiliare all'interno di un museo che è già di per sé un'opera d'arte contemporanea trasformandolo e, quasi, decostruendolo.
Cosa ci mostrano in realtà le opere sconvolgenti degli artisti contemporanei che seguono la stessa linea di Urs Fisher?
Forse ci mostrano che siamo alla ricerca di una via che ci restituisca coscienza della nostra natura e del mondo reale estraneandoli dal consumo. Una soluzione di contrasto al fatto che siamo attualmente immersi nella logica del consumo ed annaspiamo in una infinita incertezza, in una immensa dissoluzione.
Dissoluzione del corpo, delle identità, dello spazio, dei luoghi, degli oggetti, dell’arte, ..una dissoluzione che richiede un’azione drammatica, grave, violenta e sconvolgente per comprendere e ritrovarsi. Come le opere di Urs Fisher.

BIBLIOGRAFIA
Bauman Zigmunt, Modernità liquida, Editori Laterza GLF, 14° edizione: 2008 (1° edizione: 2000), traduzione italiana di S. Minacci, (edizione originale: Liquid Modernità, Polity Press, Cambrige, e Blackwell Publisher Ltd, Oxford, 2000).

Dizionario Garzanti della lingua italiana, Aldo Garzanti Editore, Italia, 10° edizione: marzo 1977 (1° edizione: 1968).

Fiell C. & P., Guida al design, concezioni materiali stili, ed. Taschen, s.l., 2006, traduzione italiana di G. Chiappetta.

Foster Hal, Il ritorno del reale, L’avanguardia alla fine del Novecento, Milano, 2006, traduzione italiana di B. Carneglia, ( edizione originale The Return of the Real, The Avant-Garde at the End of the Century, Massachusetts Institute of Technology, 1996).

Jiménez José, Teoria dell’arte, Aesthetica Edizioni, Palermo, 2007, cap. IV – Componenti, traduzione italiana di A. Righi (testo originale: Editorial Tecnos, Madrid, 2002).

Arte Contemporanea, Bimestrale d’informazione e critica d’arte, ARTCOM s.r.l. Edizioni, Roma 2009, anno IV Novembre-Dicembre n°20.

Sito web: http://www.luxury24.ilsole24ore.com/ArteCreativita/2009/10/urs-fischer-new-york_1.php

Sito web: http://en.wikipedia.org


BIBLIOGRAFIA DELLE FOTOGRAFIE
Foto di copertina. Urs Fisher, Crateri di terra, 2008, Galleria Gavin Brown di Manhattan. Fotografia tratta dal blog: www.blog.daytonc.com/.../2008/06/urs-fischer_you.jpg

Le seguenti fotografie sono tratte dalla rivista Arte Contemporanea, Bimestrale d’informazione e critica d’arte, ARTCOM s.r.l. Edizioni, Roma 2009, anno IV Novembre-Dicembre n°20:

Foto A. Urs Fisher, Noisette, 2009, Mixed mediums, dimensions variable. Courtesy the artist; Gavin Brown’s enterprise, New York; Galerie Eva Presenhuber, Zurich; and Sadie Coles HQ, London;

Foto B. U. Fisher, The Lock, 2007, Cast polyurethane, steel pipes, electromagnets. Courtesy the artist; Gavin Brown’s enterprise, New York; Galerie Eva Presenhuber, Zurich; and Sadie Coles HQ, London;

Foto C. U. Fisher, Marguerite de Ponty, 2006-08, Cast aluminumapprox. Courtesy the artist; Gavin Brown’s enterprise, New York; Galerie Eva Presenhuber, Zurich; and Sadie Coles HQ, Lond

2 commenti:

giulia ha detto...

ciao! ho trovato la tua tesina molto interessante... ma che cosa intendi quando citi Jose Jimenez "L’arte cessa di possedere la priorità e l’esclusività della funzione di produttrice d’immagini in cui si era fatta carico dal XV al XVIII secolo.” quando parli di Illuminismo ? per "momento del razionalismo" includi la speculazione filosofica di Kant nella "critica al giudizio", dove parla di Belle Arti e Estetica ?
grazie aspetto tua risposta! giulia

MONICA PEZZOLI ha detto...

ciao giulia. devi scusarmi se non t'ho risposto finora ma sono stata impegnata con gli esami dell'Accademia. mi fa piacere che hai trovato la tesina interessante. purtroppo in questo post non sono riuscita ad inserire le note a piè pagina della tesina che erano comunque molto esplicative. in quanto alla prima domanda: mi riferisco al fatto che fino al XIII sec. solo le arti classiche riconosciute ed accettate come "belle arti" (pittura, scultura, etc) avevano appunto la funzione di produttrice d'immagine e l'artista era un eletto. con l'evoluzione della società tale funzione si è allargata ad arti dapprima non ritenute come tali. marcel duchamp poi ha basato tutto il suo lavoro sulla ricerca che mette in crisi l'enunciato "questo è arte", mette in crisi l'arte ed il ruolo dell'artista. è un discorso un pò lungo... se leggi il libro che ho indicato di Jose jimenez (e non solo) comprendi forse meglio ciò che intendo.
per la seconda domanda:
al momento non so esattamente a quale punto della tesina ti riferisci...e perdonami l'ignoranza in materia ma non ho letto la "critica al giudizio" di Kant x cui non posso rispondere con precisione. provvederò appena riesco a leggere i 10 libri che stanno in attesa di una mia benchè minima attenzione dopo aver finito di girare il mio cortometraggio. in ogni caso mi riferisco ad al periodo storico basato sul razionalismo. se vuoi maggiori chiarimenti chiedi pure.
cercherò di essere più veloce nella risposta. grazie.:)